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Scritti per Ventiquattro

Malmö, la biblioteca dei libri viventi

di Tommaso Paolazzi e Chiara Somajni

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Libri viventi per un giorno. Ognuno viene prestato per tre o quattro incontri alla volta, di non più di 45 minuti ciascuno. È possibile fare qualunque tipo di domanda, il libro vivente può però rifiutarsi di rispondere. Il travestito tina/Hakan Jönsson (foto di Elin Berge)Nella città svedese invece di compulsare dei tomi è possibile prendere a prestito una persona e porle delle domande. Così si riesce a dare voce anche a figure minacciate dal pregiudizio. Tra i bestseller, l'imam e le coppie gay sposate

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«Il nostro bestseller? Indubbiamente l'imam, ma anche i travestiti e le coppie omosessuali sono molto apprezzati». A parlare è Linda Willander, di mestiere bibliotecaria. Lavora nel bell'edificio razionalista progettato dal danese Henning Larsen per la Stadsbibliotek di Malmö, la terza città per popolazione della Svezia. Da alcuni anni il centro offre l'opportunità di consultare, accanto ai volumi cartacei e ai cd-rom, anche delle persone in carne e ossa. Individui disposti a incontrare il pubblico in quanto esponenti di particolari categorie sociali, verso le quali non di rado nutriamo dei pregiudizi: genitori omosessuali, donne musulmane che portano il velo, punk, animalisti, skinheads, transessuali, ausiliari del traffico e molti altri. «Malmö è una città cosmopolita, abitata da oltre 140 nazionalità diverse. È un centro d'immigrazione molto intensa e rappresenta bene le difficoltà d'integrazione che toccano l'Europa dei nostri giorni - spiega Linda -. In genere proponiamo temi legati all'attualità. Ad esempio la giornata dedicata al matrimonio tra omosessuali, che ha avuto una notevole partecipazione di pubblico, è stata organizzata anche in considerazione del fatto che tra poco in Svezia il rito potrà essere celebrato in chiesa».
Gli incontri con i "libri viventi" si svolgono in media quattro volte a semestre, nel caffè della biblioteca. Dopo essersi prenotati, si può parlare con loro per tre quarti d'ora. Ogni "libro" viene prestato tre-quattro volte nell'arco del pomeriggio. A fine giornata vengono distribuite le schede di valutazione e accolte le richieste per l'acquisizione di nuove categorie di persone da incontrare. La sessione documentata da «Ventiquattro» ha visto la partecipazione del popolarissimo imam Ali Ibrahim, di un giocatore d'azzardo, del travestito Tina/Håkan Jönsson, di due musicisti e di una persona afflitta da disturbi mentali. Gli incontri non vengono né filmati né registrati, perché l'esperienza deve restare nella sola memoria dei partecipanti. «Non ci sono limitazioni ai temi da trattare, ma ciascun "libro" può rifiutarsi di rispondere a domande che reputi inappropriate, evenienza che però non si verifica di frequente», spiega Catharina Noren. È lei che nel 2002 ha avviato il progetto, traendo spunto al di là del ponte sull'Öresund, in Danimarca: nel 2000 aveva assistito a un primo esperimento di biblioteca vivente ospitato dal Festival di Roskilde. «In quel caso l'iniziativa era stata promossa dall'organizzazione non governativa "Stop Violence" che aveva lo scopo di prevenire scontri tra i giovani nelle città e nelle periferie di Copenhagen». Catharina capì che il progetto aveva altre potenzialità e che, specie in una città agitata da tensioni migratorie come Malmö, sarebbe valsa la pena di trasformarlo in un appuntamento stabile.
Da allora l'esperienza è stata ripresa in diversi altri centri svedesi, ma anche in Inghilterra, Ungheria, Danimarca, Portogallo e - fuori dall'Europa - Australia e Giappone, per un totale di trenta Paesi. È un esperimento di "educazione non-formale" che estende nel mondo fisico i modi di raccogliere, organizzare e diffondere sapere affermatisi negli ultimi anni in internet.
«La biblioteca vivente fa propria la piattaforma per la comunicazione diretta, la condivisione di esperienze e gli user generated contents oggi caratteristica della Rete», precisa Stefano Vitali, archivista a Firenze e autore di uno studio sull'evoluzione della disciplina storica ai tempi di internet (Passato digitale. Le fonti dello storico nell'era del computer, Bruno Mondadori 2004). «Non stupisce che nel fare questo ci si affidi a un rapporto basato sulla narrazione di storie personali - continua Vitali -. Al di là dello scambio umano, che per fortuna mantiene anche in un'epoca di incontri virtuali il suo fascino e la capacità di provocare emozioni, c'è probabilmente una dimensione epistemologica, che questo tipo di scambio diretto di esperienze vuole recuperare: la vita vissuta sembra offrire una conoscenza più concreta e più vicina alla realtà dei singoli delle parole scritte su un libro. In una società premoderna uno scambio del genere era una componente "naturale" della vita sociale. In una società postmoderna è un evento che evidentemente deve essere organizzato e mediato istituzionalmente».
Le sedute con i "libri viventi" come occasioni d'incontro (disciplinato) con degli sconosciuti: un po' come accadeva in epoca vittoriana per fare conoscere giovani uomini e giovani donne a fini di matrimonio, specula Donald Sassoon, del quale lo scorso anno è uscito in italiano un'imponente ricerca sui consumi culturali europei dall'Ottocento a oggi (La cultura degli europei, Rizzoli). «La biblioteca conserva il potere di selezione dei libri viventi, escludendo ad esempio i facinorosi; per il resto le sessioni che promuove hanno la caratteristica pregnante di eliminare il diaframma rappresentato dai mediatori, come i giornalisti, gli scrittori, i saggisti». Anche per il narratore l'incontro ha un valore particolare e in un certo senso terapeutico, come evidenzia Vitali: «Trasmettere conoscenza ed esperienza, significa dare loro un orizzonte di senso. E forse anche un orizzonte di senso alla propria vita». «Quest'esperienza mi ha insegnato molto rispetto al sesso come costruzione sociale. Ho capito che tra quel che pensano le donne e quel che pensano gli uomini non c'è differenza», osserva il transgender Tina/Håkan Jönsson, sposato da 29 anni con quattro figli. L'ultima volta che ha svolto il ruolo di "libro vivente", il giorno in cui ha partecipato anche «Ventiquattro», ha parlato con quattro persone, tra i 30 e i 75 anni di età. Tra loro una donna, il cui figlio ama indossare abiti femminili. Voleva sapere se questo potesse significare che era gay. «Le donne si sentono in genere più libere di incontrarmi rispetto agli uomini. Questi avvertono sul collo il giudizio degli altri e percepiscono l'incontro con me come una potenziale minaccia al loro status di maschi».
  CONTINUA ...»

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